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Archive for gennaio 2008

I Concerti grossi di Händel diretti da Neville Marriner

28 gennaio 2008 11 commenti

Tornano dopo molti anni nel catalogo Decca i Concerti grossi di Georg Friedrich Händel eseguiti dall’Academy of St. Martin in the Fields, diretta da Neville Marriner (475 8673). Possedevo già i primi otto Concerti grossi op. 6 in LP, tra l’altro dischi di ottima qualità che ancora oggi restituiscono un suono chiaro e brillante, ma certamente meno pratici rispetto al supporto digitale.

Ho sempre considerato eccellenti queste interpretazioni, avendo avuto la possibilità di confrontarle con quelle filologiche di Christopher Hogwood (Decca 458 817-2) e anche con quelle di Karl Richter (Deutsche Grammophon 453 249-2, fuori catalogo).

Marriner ha la capacità di esaltare particolarmente la bellezza del “concerto barocco” raggiungendo un equilibrio sonoro a mio avviso ineguagliato. L’organico adottato non è ristretto come vorrebbe l’odierna prassi filologica, e la scelta del basso continuo è sorprendente: l’organo e il clavicembalo si alternano e si sovrappongono nell’accompagnamento dell’orchestra, accompagnamento che a volte si fa piacevolmente più movimentato rispetto a quanto si è soliti ascoltare. È noto che non è compito facile trovare un compromesso tra numero di esecutori e chiarezza espositiva; Marriner, e, aggiungerei, Karl Richter, penso ci siano riusciti rispettivamente per i concerti barocchi e per le composizioni sacre di Bach. Quanto detto vale sia per queste incisioni che per quelle di Vivaldi; mi riferisco, perdonatemi la digressione, alle Quattro stagioni (quattro concerti da Il cimento dell’armonia e dell’inventione, op. 8 n. 1-4, e in particolare L’inverno), all’Estro armonico (dodici concerti op. 3) e alla Stravaganza (dodici concerti op. 4), disponibili in CD Decca (475 471-2), e anche al Gloria RV 589 (EMI 7 54283 2), in cui il delicato basso continuo eseguito all’organo accompagna un commovente Et in terra pax.

Copertina del box Vivaldi-Marriner Copetina del CD Gloria-Marriner

Tornando ai Concerti grossi di Händel, quest’album, datato settembre 2007 (le registrazioni risalgono al 1964 e al 1968), include anche i Concerti grossi op. 3, e si inserisce nella serie The Originals a medio prezzo, motivo in più per consigliarne l’acquisto.

La qualità sonora è più che buona, a questo proposito l’etichetta dell’LP recitava Full Frequency Stereophonic Sound, indicazione che è stata riprodotta anche sui CD. Avrei detto qualità ottima se non fosse per un po’ di rumore di fondo a bassa frequenza, il cosiddetto rumble, dovuto sia ad un filtraggio della tensione di rete non eccellente (in particolare la seconda armonica, a 100 Hz), sia probabilmente al rumore ovattato del traffico stradale circostante. In ogni caso è un disturbo che risulta assolutamente tollerabile e che quindi non deve destare preoccupazione. Questo tipo di rumore non è una novità nelle incisioni di Marriner con l’Academy of St. Martin-in-the-Fields, tanto che alcune delle succitate registrazioni di Vivaldi presentano un filtraggio passa alto con frequenza di taglio intorno a 50 Hz proprio al fine di ridurre il rumble.

Attendo ora anche la riedizione dei Concerti per organo di Händel (op. 4 e op. 7) diretti sempre da Neville Marriner e con George Malcolm all’organo.

Cover CD Handel Concerti per Organo Marriner Copertina CD Corelli Concerti grossi diretti da Marriner

Già pubblicati in compact disc nella serie Double Decca (452 235-2), questi concerti sono stati eliminati dal catalogo da ormai più di due anni.
Non sarebbe stata una cattiva idea raccogliere in un cofanetto sia i Concerti grossi opp. 3 e 6 (3 CD) che i Concerti per organo opp. 4 e 7 (2 CD), analogamente a quanto fatto per i concerti di Vivaldi. In ogni caso la ristampa dei concerti per organo è ora il tassello mancante per avere a disposizione tutti i grandi concerti barocchi (inclusi i Concerti grossi di Corelli, disponibili come doppio album Decca 443 862-2) eseguiti dalla Academy of St. Martin-in-the-Fields col suo storico direttore. Non resta che sperare che questo avvenga quanto prima.

Aggiornamento 2009: Decca ha rilasciato il cofanetto Handel Masterworks, 30 CD in cui troviamo anche i Concerti grossi e i Concerti per organo qui citati. Tutti i dettagli sono disponibili nell’articolo dedicato.

Copertina posteriore

Arturo Benedetti Michelangeli

26 gennaio 2008 5 commenti

«… Detestavo il pianoforte, da piccolo se sentivo un pianoforte urlavo…» (*)

Invece di pubblicare una biografia, tra l’altro facilmente reperibile in rete, stavolta ho pensato di ricordare questa leggenda della musica con le parole di chi lo ha conosciuto. A mio avviso, queste citazioni aiutano a scoprire e a comprendere i lati straordinari che caratterizzavano questo grande maestro. Non penso ci sia altro da aggiungere, perciò buona lettura!

NOTA: il materiale che segue è tratto in gran parte dal libretto che accompagna il cofanetto "Arturo Benedetti Michelangeli: The Complete EMI Recordings" della EMI Classics.

«Sosteneva che si deve toccare il pedale nella sua parte più esterna con la punta del piede, idealmente con le dita, per avere la massima sensibilità e calibrare al millimetro l’azione di diverse porzioni di corsa del pedale stesso. Diceva spesso scherzando che bisogna rifuggire dall’"effetto arrotino"… Dovevo suonare a Milano per i Pomeriggi Musicali; Michelangeli mi dette appuntamento ad Arezzo dove, per tre giorni, mi fece eseguire il brano più volte e sempre più forte, dicendo che non si sentiva niente. Obbedii, ma non capivo il motivo di tale richiesta. Capii il giorno delle prove a Milano quando, iniziato il concerto, non riuscivo a udire niente di quello che facevo io né di ciò che suonava l’orchestra, a causa di un’acustica tremendamente assorbente. Suonai allora nel modo che aveva preteso Michelangeli tre giorni prima, e riuscii a salvare il concerto».
(Franco Gei, allievo, insegnante al Conservatorio di Ferrara)
«Le prime lezioni con Michelangeli mi misero in difficoltà in quanto mi aspettavo di ricevere una "scuola", un metodo di lavoro che creasse delle basi sui vari aspetti della musica (il legato, lo staccato, il fraseggio…). Michelangeli era invece totalmente distante da questo approccio "rassicurante" per l’allievo: lui forniva un input musicale dal quale si dovevano ricavare le conclusioni, facendosi in un certo senso scuola da sé… Una volta mi disse una cosa che capii poi molto tempo dopo: "La tecnica è fantasia musicale"; solo attraverso l’immaginazione e l’ispirazione si può trovare il gesto adatto per suonare».
(Virginio Pavarana, allievo, insegnante al Conservatorio di Verona)
«In vista di un concerto che avrei dovuto tenere a Perugia, il Maestro mi imponeva un po’ in tutti i brani tempi piuttosto moderati, sempre al disotto di quelli che sentivo. Una settimana prima del concerto mi chiese di eseguire il programma, e in quell’occasione mi spinse a suonare molto più rapidamente: mi adeguai a questa situazione in modo molto naturale, senza alcuno sforzo. La preparazione effettuata "sottotempo" mi aveva costretto ad approfondire il testo nell’intento di evidenziare ogni possibile contenuto musicale».
(Renzo Bonizzato, allievo, insegnante al Conservatorio di Verona)
«Mi capitava di ascoltare il maestro al lavoro; mi colpì il fatto che quasi mai sentivo dei passaggi interi, ma note singole ripetute in continuazione per ore e ore. Ricordo una giornata in cui Michelangeli senza interruzione per mangiare o per riposarsi, ripeté un mi nel registro centrale del pianoforte per dodici ore di seguito in mille modi diversi!».
(Carlo Dominici, allievo, insegnante al Conservatorio di Pescara)
«L’aspetto fondamentale era il timbro, la qualità del suono; su questo era assolutamente intransigente. Un brutto suono riproduce brutta musica, diceva, e un pianista deve essere in grado di far ascoltare una grande varietà timbrica, un’ampia gamma di piani sonori. A questo proposito lo studio di Bach è fondamentale, poiché permette di assimilare la capacità di riprodurre la polifonia con una sola mano, che è alla base di molta musica di Chopin».
(Maria Cristina Mohovic, allieva, insegnante al Conservatorio di Bolzano)
«Infine, pronti "al centotrenta per cento per arrivare almeno all’ottanta per cento", come amava ripetere, si giungeva al giorno fatidico del concerto; ci raccomandava di arrivare in anticipo nella sala per tentare di "riempirla di suono" ancora prima di iniziare e, una volta seduti al pianoforte, immaginare di trovarsi all’interno di uno spazio circolare ove cercare energia e concentrazione. E trovare "unicamente dentro la tastiera la calma della mano e del cuore"».
(Olga Schevkenova, allieva, insegnante al Conservatorio di Milano)
«La scelta della postura al pianoforte dipende da tanti fattori, anche dall’aspetto fisico. Michelangeli era un bellissimo uomo, alto, magro, con un rapporto armoniosissimo fra corpo e arti. Le mani erano grandi, prendeva con facilità la decima, il palmo era largo e solidissimo, le dita robuste. Il rapporto delle lunghezze fra busto, braccio, mano, dito era tale che il peso del retro braccio veniva facilmente, direi "naturalmente", convogliato sulla punta del dito, che lo trasferiva sul tasto… Non inclinava il busto oltre l’angolo critico, arretrava raramente il piede sinistro, non avanzava la spalla destra, non chinava neppure la testa né in avanti, fissando la tastiera, né all’indietro, guardando verso l’alto. E, detto per inciso, il suo viso rimaneva impassibile, e non canticchiava mai».
(Piero Rattalino, storico del pianoforte)
«Il solismo è un incubo, una catena. O si è dei placidi alla Magaloff, o dei mostri sacri alla Rubinstein… Ma se il temperamento naturale ha risvolti psicologici e contempla anche interessi estranei alla tastiera, il solismo induce saturazione, angoscia, perfino avversione… Tenga presente che un pianista come Horowitz è stato dieci anni senza suonare, per usura nervosa… Mi ricordo di una settimana a Napoli. Benedetti doveva incidere con l’Orchestra Scarlatti, e non incise niente. Lo incontravo ogni mattina all’Excelsior egli dicevo: "Oggi incidi?"; mi rispondeva: "Non so, non trovo il suono"».
«Il problema era di portarlo al pianoforte. Nel 1979, quando a Vienna incidevamo i Concerti di Beethoven, aveva a disposizione cinque pianoforti e decidere quale usare per lui era un grande problema: conosceva come nessun altro la meccanica dello strumento e perciò aveva sempre con sé un accordatore. Non le dico come lo faceva tribolare perché ogni nota, ogni suono doveva essere quello e non poteva essere altro che quello, e lui sapeva come e perché. Perciò il problema era quello di fare uscire un pianoforte in palcoscenico. Da quel momento in poi, quando lui si sedeva, i problemi erano finiti».
(Carlo Maria Giulini, direttore)
«Era in grado di rilevare infallibilmente differenze minime quali, e non esagero, lo spessore di un foglio di carta velina; le prime volte credevo si trattasse di un caso, ma mi dovetti poi ricredere perché compresi quanto grande fosse la sua sensibilità ai minimi particolari; era così sensibile all’aria condizionata perché il grado di umidità, che può oscillare dal 40 al 70% ed oltre, cambia l’insieme del peso della tastiera. Inoltre il cambiamento di umidità può far variare la reazione delle molle, ma anche l’aderenza della meccanica sul tavolaccio squinternando tutto il lavoro sin lì fatto e provocando una disuguaglianza che il Maestro non poteva assolutamente tollerare. In certi momenti avevo l’impressione che cercasse nel pianoforte il contatto della corda che si ottiene col clavicordo, tanto viscerale era il suo rapporto col suono».
(Angelo Fabbrini, accordatore)
«Aveva studiato composizione, conosceva il travaglio costituito dal riempire quel "deserto" che è la pagina vuota, e questo gli permetteva di intuire cosa si celasse dietro al segno di un autore. L’osservazione diretta e profonda del brano, da attuarsi eventualmente a tavolino, è quindi premessa fondamentale per possedere pienamente il senso formale richiesto a un interprete».
(Isacco Rinaldi, pianista e amico)
«Esiste una regione trascendentale della tecnica, fatta di qualità e di controllo della sonorità, dove in questo secolo pochissimi artisti eccelsero e Michelangeli ne possedeva il segreto». (**)
(Maurizio Pollini, pianista)
«…Ma sopra tutti Benedetti Michelangeli, forse il più grande come artigiano del pianoforte. Elegante, semplice, riservato. Non era un intellettuale, e forse non era neppure consapevole fino in fondo del suo talento. Studiava in modo maniacale, per potersi dare una ragione di un dono che invece gli veniva dal cielo». (***)
(Ramin Bahrami, pianista)

  • (*) Da un’intervista al Corriere del Ticino, raccolta da Carla Jelmorini.
  • (**) Dal volume "Il grembo del suono" (Editore Skira), pubblicato in occasione della mostra dedicata a Benedetti Michelangeli dalla città di Brescia nel 1996.
  • (***) Da un’intervista di Enrico Regazzoni per Repubblica.

Tutto questo materiale, eccetto l’intervista a Ramin Bahrami, è tratto dal libretto che accompagna il cofanetto "Arturo Benedetti Michelangeli: The Complete EMI Recordings" della EMI Classics.
La fotografia è tratta dalla copertina del disco "Debussy: Préludes, Volume I" (DG 413 450-2).

Chiudo consigliandovi l’ascolto di questa sua interpretazione della Ballata n. 1 in sol minore, op. 23 di Chopin, tratta da YouTube.