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Archive for marzo 2013

“Orgel-Symphonie”: la terza sinfonia di Saint-Saëns a Berlino

A la Mémoire de Franz Liszt - Troisième Symphonie en ut mineur par Camille Saint-Saëns, Op. 78

Le sinfonie francesi sono cosa rara; basta ripercorrere la storia della musica degli ultimi due o tre secoli per notare che i più grandi e prolifici compositori del genere sinfonico furono tedeschi, slavi, russi, non certo francesi. Camille Saint-Saëns è stato uno dei pochi contributori del sinfonismo tardo-romantico francese insieme a César Franck (che poi a dirla tutta non era nemmeno francese ma belga); la sua terza e ultima sinfonia è sicuramente uno dei componimenti più conosciuti e l’unica a vantare numerose incisioni discografiche. Espressione del sinfonismo classico alla Mendelssohn e Beethoven più che di quello romantico, l’opera è caratterizzata da scelte compositive interessanti, e al suo finale spettacolare in stile fuochi d’artificio spetta senza dubbio un posto importante tra tutte le sinfonie; in generale comunque si pone un gradino più in basso rispetto alle grandi sinfonie beethoveniane; a mio avviso questo paragone non solo è lecito, ma dimostra che anche a distanza di secoli, nel frangente della sinfonia classica, il compositore tedesco non teme confronti.

Componimento piuttosto singolare, questa sinfonia sfugge alla canonica suddivisione in quattro movimenti in uso fino ad allora, puntando su una nuova struttura basata su due soli tempi; in realtà ognuno di questi due movimenti presenta un notevole cambio di direzione esplicitamente indicato in partitura, pertanto in definitiva si ravvisa una ripartizione in quattro movimenti che possono essere considerati legati due a due. Altra particolarità è l’organico, arricchito rispetto a quello classico e che include anche un pianoforte e ovviamente un organo, da cui la denominazione “avec orgue” (con organo) apposta dal compositore.

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Cochereau/Karajan (1982)
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Cochereau/Karajan (1993)

Le due edizioni di cui si tratterà sono abbastanza vicine nel tempo e in fondo non sono tanto distanti nemmeno dal punto di vista interpretativo. La prima, e più vecchia, è quella diretta da Herbert von Karajan nel 1981, con Pierre Cochereau all’organo; l’altra è diretta da James Levine e all’organo troviamo Simon Preston; è il 1986. In entrambi i casi l’orchestra è la Filarmonica di Berlino; visto il breve lasso di tempo che separa le due incisioni, soli cinque anni, è plausibile che anche gli strumentisti siano in buona parte gli stessi.
Per ciascuna delle incisioni riportiamo qui due copertine in quanto negli anni sono state pubblicate diverse edizioni dello stesso materiale.

Ciò che fa veramente la differenza, oltre naturalmente agli interpreti, sono gli organi protagonisti delle registrazioni. Il grande Pierre Cochereau suona il Cavaillé-Coll di Notre-Dame de Paris, mentre l’organo di Simon Preston è quello della Berlin Philharmonie (per informazioni sullo strumento si rimanda ad un predecente articolo).
A proposito delle parti organistiche, è interessante notare un altro punto in comune tra queste due registrazioni. Sul BBC Music Magazine si menziona il fatto che la registrazione della parte di organo eseguita da Preston è stata effettuata separatamente da quella del resto dell’orchestra¹ e ci si potrebbe domandare il perché di questa scelta visto che l’organo era nello stesso posto dell’orchestra.
C’è di più: nel caso di Karajan e Cochereau la registrazione delle due parti è stata effettuata non solo in tempi diversi ma anche in luoghi diversi; i Berliner infatti non si sono mai mossi dalla capitale tedesca e hanno eseguito la sinfonia senza l’organo, e Pierre Cochereau ha inciso la parte organistica a mille chilometri di distanza.
La scelta di registrare in sessioni diverse, che demanda ad una successiva fase di missaggio l’onere di rimettere insieme i pezzi ed è quindi appannaggio esclusivo delle produzioni discografiche, può infastidire l’ascoltatore in quanto il risultato è inevitabilmente qualcosa di artefatto. Anche se tecnicamente ineccepibile, questo approccio priva gli orchestrali di sensazioni e riferimenti che invece avrebbero in un’esecuzione effettuata nella maniera tradizionale e che potrebbero condizionarne lo sviluppo, per non parlare di chi deve incidere “per secondo”, il quale è totalmente vincolato alla registrazione che dovrà integrare. Detto questo, il risultato finale in questi due casi è comunque di qualità, anzi, se non si fosse a conoscenza di tutta la verità, difficilmente si sospetterebbe il sotterfugio.

Entrambe le interpretazioni sono caratterizzate da tempi abbastanza rilassati. James Levine tira fuori dai Berliner un suono straordinario passando dalla delicatezza del secondo movimento (considerando l’opera divisa in quattro movimenti) alla maestosità dell’ultimo. La voce degli ottoni, più numerosi rispetto alla composizione tipica dell’orchestra sinfonica, risulta nitida e potente. L’organo, dal suono pieno e cristallino, si integra sempre perfettamente con l’orchestra mantenendo comunque una sua autonomia; nel Maestoso finale Preston adotta una registrazione imponente ma grazie ad un buon bilanciamento non ruba la scena all’orchestra e al pianoforte. Le battute conclusive della sinfonia sono dirette un po’ più lentamente di quanto ci si possa aspettare e questa è una delle differenze più apprezzabili tra questa incisione e quella di Karajan, che mediamente è leggermente più lenta di quella di Levine ma nel finale si mantiene piuttosto allegra. Dal punto di vista tecnico la registrazione è eccellente e vanta una dinamica molto estesa; il missaggio tra la registrazione dell’organo e quella dell’orchestra è perfetto. Un’incisione sicuramente raccomandabile e adatta anche a chi è alla ricerca di un punto di partenza per l’ascolto di questa sinfonia. Le due edizioni, di cui si riportano le copertine, sono entrambe in catalogo, tuttavia non c’è ragione di scegliere l’edizione del 1987 in quanto contiene meno materiale di quella del 2012 e viene proposta ad un prezzo maggiore; da un confronto effettuato bit per bit tra le due edizioni risulta che l’audio è perfettamente identico, ad eccezione ovviamente delle Overture di Berlioz non presenti nel disco dell’87, dunque nessuna rimasterizzazione è stata applicata.

Anche la registrazione di Karajan, risalente ai primordi dell’era digitale, è caratterizzata da un’orchestra dal suono eccellente. Nel secondo movimento, Poco adagio sulla carta ma quasi un Largo per Karajan, il suono chiaro e soave dell’organo francese sotto le dita esperte di Pierre Cochereau ci regala dieci minuti profondissimi dimostrando il livello dello strumento; i problemi arrivano invece nel quarto e ultimo movimento: qui l’organo attacca fortissimo, come è giusto, ma il suo suono purtroppo sembra finto, artefatto, pur rimanendo ben sincronizzato e bilanciato con quello dell’orchestra: i toni bassi dello strumento, al quale non mancano registri gravissimi, sono quasi del tutto assenti, forse per via del gran numero di ance che, pur splendide e caratteristiche, sovrastano ogni altro suono. Sicuramente si sarebbe potuto fare di meglio in fase di registrazione e missaggio; un disco che in definitiva non rende giustizia al Cavaillé-Coll parigino, ma che comunque documenta la collaborazione tra due grandissimi artisti, Karajan e Cochereau, che già all’epoca dei fatti erano entrati di diritto nella storia della musica del novecento.

Non si può però concludere un articolo sulle registrazioni della terza di Saint-Saëns senza spendere due parole su quella diretta da Charles Munch nel 1959 con un poco conosciuto Berj Zamkochian all’organo Aeolian-Skinner della Boston Symphony Hall; si tratta di un’interpretazione universalmente riconosciuta come una delle migliori in assoluto. Come è facile immaginare, la registrazione è stata effettuata in un’unica ripresa, evitando operazioni di montaggio sicuramente complicate per l’epoca; la cosa interessante è che i tecnici della RCA hanno pensato di utilizzare tre microfoni e non due come normalmente si faceva (e talvolta si fa ancora oggi) per registrare in stereofonia, ciò ha permesso il rilascio, nel 2004, di un’edizione in Super Audio CD che sfrutta tutti i vantaggi della registrazione a tre canali (sinistro, centrale e destro); trattandosi di un SACD ibrido, è sempre possibile riprodurlo anche con un normale lettore CD, ovviamente come downmix a due canali stereo. Quest’edizione risulta di buona qualità tecnica, ai limiti di quanto era possibile negli anni 50: la risposta in frequenza è compresa grosso modo tra 16 e 20.000 Hz, il bilanciamento tra le varie sezioni dell’orchestra non è proprio perfetto (talvolta gli ottoni risultano un po’ più forti del dovuto), lo è invece quello tra organo e archi. Il rumore di fondo è presente e si nota specialmente nel Poco adagio, dovrebbe comunque risultare sopportabile e non sembra sia stato ridotto artificiosamente. In generale il suono è naturale; se sono stati applicati filtri o equalizzazioni in fase di rimasterizzazione, la cosa è stata fatta in modo molto discreto.
Assolutamente da evitare è invece la precedente edizione del 1993, pubblicata in CD sempre da RCA e caratterizzata da un suono cupo e spesso fortemente distorto, basta ascoltare l’incipit del Maestoso per rendersene immediatamente conto. È probabile che in questo caso la rimasterizzazione (se così la si può definire) non sia stata effettuata a partire dai nastri originali ma da una copia di minore qualità, dato che anche i toni acuti risultano nettamente attenuati a parità di rumore di fondo.

(¹) BBC Music Magazine, marzo 2008. Estratto disponibile sul sito Presto Classical.

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