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Gli studi di Liszt e di Debussy eseguiti da Mariangela Vacatello

26 febbraio 2014 Lascia un commento

Alcuni mesi fa la casa discografica Brilliant Classics ha pubblicato due album dedicati a due tra le più celebri raccolte di studi per pianoforte: i 12 Études d’exécution transcendante di Franz Liszt e gli altrettanti Études di Claude Debussy. L’interprete è Mariangela Vacatello, che ha inciso i due CD a distanza di meno di due anni l’uno dall’altro: Liszt nel 2010 e Debussy nel 2012.

Copertina del CD di Liszt Copertina del CD di Debussy

In ambito musicale si definiscono studi quelle particolari composizioni di natura fondamentalmente didattica che mirano ad affrontare determinate problematiche tecniche. I primi studi per pianoforte furono scritti all’inizio del diciannovesimo secolo da compositori come Muzio Clementi e Carl Czerny; ancora oggi questi nomi sono ben noti a tutti i pianisti ed aspiranti tali, al contrario sono meno conosciuti dal grande pubblico degli ascoltatori e degli amatori proprio perché le loro composizioni sono in buona parte destinate agli studenti di musica e non sono concepite per l’esecuzione concertistica.

Etichettare le raccolte di studi di Liszt (1852) e Debussy (1915) con la definizione testé esposta sarebbe però a dir poco superficiale; in verità si tratta di composizioni di rara bellezza musicale e tecnicamente molto difficili da eseguire, costituiscono quindi un eccezionale concentrato di tecnica e di arte. I lavori del celebre virtuoso ungherese, spesso esuberanti e imponenti ma talvolta anche delicatissimi, sono accomunati a quelli più sobri del francese dal fatto di aver portato al limite le possibilità tecniche dello strumento, sebbene in modi molto diversi. Non sembra un caso, quindi, che Mariangela Vacatello abbia scelto, per l’incisione di queste composizioni, due pianoforti che presentano caratteri tra loro differenti: uno Yamaha CF III SA per Liszt, dal suono corposo e a tratti oscuro, e un Fazioli F278 per Debussy (278 sono i centimetri di lunghezza dello strumento), in grado meglio di altri di rendere fedelmente le infinite sfumature delle partiture del francese.

Gli Études d’exécution transcendante (Studi d’esecuzione trascendentale) di Liszt sono opere di vocazione chiaramente concertistica. Di stile estremamente vario, queste composizioni presentano una grande complessità che non si limita all’aspetto tecnico. Lo scopo didattico, come anticipato, è in pratica solo un pretesto, lo dimostra il fatto che ciascuno studio contempla non uno ma molteplici aspetti della tecnica pianistica; questo lascia intendere che l’esecutore deve possedere già una tecnica consolidata per potersi dedicare con successo a queste composizioni, requisito abbondantemente soddisfatto da Mariangela Vacatello, a giudicare da questa brillante e ricercata registrazione. In questi studi, Liszt articola il discorso musicale lavorando su praticamente tutti i parametri possibili, spingendosi anche oltre le forme che erano nell’uso dell’epoca, e con una particolare dedizione nel ricercare timbri e colori inediti, nascosti tra i martelli e le corde di uno strumento ancora non completamente esplorato. Non mancano, all’interno delle complesse tessiture Lisztiane, assonanze e richiami più o meno espliciti agli studi di Chopin, composti tra l’altro più o meno nello stesso periodo o poco prima (1829-36).

Frontespizio degli Études di Liszt
Frontespizio degli Études di Franz Liszt
Prima pagina degli Études di Debussy
Prima pagina degli Études di Debussy

Mentre gli studi di Liszt mantengono un’anima fondamentalmente classico-romantica e quindi una fruibilità abbastanza immediata per l’ascoltatore, i Douze Études di Debussy richiedono di norma un impegno maggiore da questo punto di vista; non si tratta di brani che mirano a comunicare qualcosa di concreto; l’obiettivo è molto più ambizioso perché Debussy punta direttamente alla “sensazione pura”, cerca cioè di trasportare la mente in uno stato completamente astratto tramite una melodia che non richiama più alcun elemento immaginabile (come umani sentimenti o immagini di qualsiasi genere), eliminando così un passaggio mentale sul quale invece si fonda la musica classica e romantica. Tale obiettivo non è raggiungibile se non con una forte sinergia tra il compositore e l’interprete, senza la quale ci si ritroverebbe ad ascoltare una sequenza di note apparentemente insignificante e anche poco piacevole, dato che ci si concentrerebbe sulla ricerca dell’armonia tonale che, in questi studi, viene spinta ben oltre i propri limiti.
Il tocco della giovane pianista italiana sembra rendere sorprendentemente semplice questo processo di comunicazione diretta tra la partitura e la mente; la scelta dei tempi è tale per cui non esistono momenti di noia: matematici dove serve, divengono più elastici in presenza di frasi da sottolineare. La pressione di ogni tasto è perfettamente studiata e pesata così come la gestione del pedale di risonanza, il che rende evidente lo studio minuzioso della partitura. Diversamente da Liszt, in cui si viene spesso letteralmente investiti dalla musica, in Debussy l’eleganza si basa proprio sulla precisione dei dettagli e delle sfumature.

A seguire i 12 studi, nel disco di Debussy troviamo le tre bellissime nonché magistralmente eseguite Estampes e i Deux arabesques che raccontano in senso inverso lo sviluppo artistico del compositore: gli studi, risalenti al 1915, sono infatti tra le ultime composizioni del francese. Le Estampes, scritte nel 1903, sono opere della maturità in cui si può apprezzare appieno lo stile del compositore, stile del quale si scorge il germe nei romantici Deux arabesques, composti in età giovanile, intorno al 1890. A riportarci nel pieno di Debussy troviamo, alla fine del disco, L’isle joyeuse, composta nel 1904.

Dopo aver ascoltato questo disco, anche solo una volta, si può dire che Mariangela Vacatello faccia letteralmente innamorare della musica di Debussy. Anche coloro che si ritengono allergici alla musica moderna, pur magari amando quella romantica, classica e barocca, dovrebbero concedersi un’opportunità ascoltando quest’album ancora relativamente recente ma che già si è fatto notare dalla critica che conta.

Pubblicato a settembre del 2012, il disco di Debussy è perfetto anche sotto il profilo tecnico; il suono del Fazioli è estremamente espressivo; dolcissimo ma definito nei piano, risulta incisivo e potente nei forte, sfoderando una gran quantità di armonici; un suono brillante che non sconfina mai nell’eccesso, conferendo a queste esecuzioni la definizione che meritano. La tecnica di ripresa, curata da Luca Ricci, è assolutamente eccellente e di gran lunga migliore rispetto a quella di certe registrazioni pianistiche di etichette discografiche più note. Il suono è chiaro e bilanciato, la dinamica, importantissima in Debussy (vale la pena di ripeterlo) è riprodotta fedelmente e non sono presenti disturbi di sorta.

Il CD di Liszt, uscito nel giugno del 2011 risulta di buona qualità tecnica; la stereofonia è molto accentuata tanto che sembra quasi di trovarsi nel centro del pianoforte; questa particolare prospettiva, apprezzabile più che altro in cuffia, può inizialmente lasciare disorientati ma alla fine risulta tollerata dopo pochi minuti di ascolto. Il suono è chiaro e ben definito, caratteristica imprescindibile per poter percepire tutti i dettagli delle complesse partiture. Anche in questo caso non vi sono disturbi da segnalare.

Ora non resta che sperare nell’uscita di un disco dedicato agli studi di Frédéric Chopin, che andrebbe a costituire un elemento centrale del progetto di incisione dei più famosi studi per pianoforte portato avanti da Mariangela Vacatello, insieme con l’etichetta olandese Brilliant Classics.


Per approfondimenti sulle opere contenute in questi due album si consigliano, oltre alle note contenute nei rispettivi libretti (a cura di Michele Campanella per Liszt e di Désirée Fusi per Debussy) le interessanti guide all’ascolto disponibili sul sito dell’Orchestra Virtuale del Flaminio, in particolare:

Karl Richter: A Universal Musician

28 luglio 2006 7 commenti
Copertina dell'album Karl Richter: A Universal Musician

Finalmente il cofanetto è arrivato. Può non essere facile trovarlo nei negozi, forse perché uscito solo da un mese.

Titolo: Karl Richter – A Universal Musician
Casa discografica: Deutsche Grammophon
Serie: Original Masters
Anno: 2006
Formato: Box da 8 CD (foderine interne di carta con finestrella di plastica)

Adesivo incollato sul cofanetto

Otto dischi pieni di ottima musica; in particolare:

CD 1 (soli/coro & orchestra): Schütz: Musikalische Exequien SWV 279-281 [mono] – Händel: estratti da opere liriche.
CD 2 (soli/coro & orchestra): A. Scarlatti: Su le sponde del Tebro – Bach: estratti dalle passioni – Händel, Haydn & Mendelssohn: estratti da oratori.
CD 3 (orchestra): Bach: Concerti BWV 1044 & 1055 – C. P. E. Bach: Sinfonie n. 1-4.
CD 4 (orchestra): Haydn: Sinfonie n. 94 & 101.
CD 5 (organo): Mozart: Fantasia K. 608 – Brahms: 11 Chorale Preludes, Op. 122 – Liszt: Preludio e fuga sul nome BACH, S. 260.
CD 6 (clavicembalo): Händel: Suite in mi maggiore, Ciaccona in sol maggiore [mono]; Bach: Concerto italiano BWV 971, Fantasia cromatica e fuga BWV 903, Toccata e fuga in sol minore BWV 915, Pastorale in fa maggiore BWV 590, Fantasia in do minore BWV 906.
CD 7 (clavicembalo): Bach: Variazioni Goldberg BWV 988.
CD 8 (tenore solo & organo): Bach: Schemelli Songbook.

I primi quattro dischi mettono in evidenza le qualità di Karl Richter come direttore d’orchestra, mentre dal quinto CD in poi si possono apprezzare le sue capacità di organista (CD 5), clavicembalista (CD 6 e 7) e accompagnatore (CD 8).

Frontespizio delle Musikalische Exequien

CD 1 – Sulle Musikalische Exequien c’è da dire che, nonostante siano registrate in mono, la fedeltà del suono è molto buona, sicuramente ottima per l’epoca (1953). Altre case discografiche incidevano già in stereo in quegli anni; la Deutsche Grammophon in effetti non fu tra le prime case ad adottare il nuovo metodo di registrazione, uno dei primi esempi è infatti la Passione secondo Matteo BWV 244 diretta da Richter nel 1958. Tuttavia, come detto, ascoltare Schütz in questa rara e storica registrazione risulta molto piacevole, le voci sono brillanti come nelle registrazioni stereo degli anni sessanta e gli strumenti, l’organo in particolare, emergono con una naturalezza tale che quasi ci si dimentica di stare ascoltando un’incisione monofonica (a meno di non ascoltarla in cuffia) grazie anche all’acustica dell’ambiente in cui si riproduce il disco. Si ravvedono già le caratteristiche vocali che determineranno, qualche anno dopo, il grande successo del coro che prenderà il nome di Münchener Bach-Chor. Nel libretto manca stranamente il testo, dimenticanza imperdonabile visto il prezzo del cofanetto. Fortunatamente in Internet non è difficile reperirlo: Parte I (SWV 279)Parte II (SWV 280)Parte III (SWV 281).

CD 2 – I solisti di Su le sponde del Tebro sono Maria Stader (soprano) e Willy Bauer (tromba). Questa cantata da camera di Scarlatti per soprano, tromba, archi e continuo, si ascolta piacevolmente e dura meno di un quarto d’ora. La qualità della registrazione, inoltre, è molto buona. Oltre a Scarlatti, questo disco contiene un assaggio di alcune composizioni vocali di Bach, Händel, Haydn e Mendelssohn, delle quali si possono ascoltare al massimo un paio di arie ciascuna. È dunque quasi certamente il CD che verrà ascoltato meno di tutti.

Copertina dell'LP delle sinfonie di Carl Philipp Emanuel Bach

CD 3 – Il disco si apre con il celebre Triploconcerto BWV 1044 eseguito dai solisti Aurèle Nicolet, Gerhart Hetzel e lo stesso Karl Richter rispettivamente al flauto, al violino e al cembalo. L’esecuzione è di una trasparenza cristallina, si potrebbe riscrivere lo spartito a orecchio, tuttavia nell’insieme sonoro il clavicembalo emerge poco, specie nel secondo movimento, dove la parola è lasciata unicamente ai tre solisti: mentre flauto e violino s’avvicendano e si intrecciano tra loro, il clavicembalo sembra restarsene in disparte, relegato quasi ad un ruolo di accompagnamento; eppure il due manuali suonato da Richter non avrebbe avuto difficoltà ad imporsi con un timbro forte, in modo da incorniciare e solidificare quest’adagio che invece rimane poco definito soprattutto nel registro basso. A seguire troviamo il Concerto per oboe BWV 1055, nella ricostruzione curata da Christopher Hogwood a partire dalla trascrizione per clavicembalo, unica versione autentica pervenutaci. L’esecuzione, risalente al 1980, non risente assolutamente del problema appena esposto, in quanto il clavicembalo si occupa qui unicamente del basso continuo insieme con il contrabbasso. La parte solistica è affidata all’oboista Manfred Clement.
Le pionieristiche sinfonie di Carl Philipp Emanuel Bach, sicuramente poco conosciute, gettano in realtà le basi per quella che sarà la grande stagione sinfonica classica che esploderà con Haydn e Mozart e poi sarà portata ai massimi livelli da Beethoven. I richiami al concerto barocco sono numerosi, l’onnipresente clavicembalo ne è segno lampante, ma la gestione dell’organico inizia ad essere molto più articolata e dinamica, e si possono già scorgere diverse trovate geniali che divergono nettamente dal modo di comporre secentesco, e che saranno proprio il sale delle successive sinfonie classiche. La Münchener Bach-Orchester si dimostra perfettamente in grado di eseguire questo repertorio con la dinamica che si conviene a lavori sinfonici a tutti gli effetti. Per quel che riguarda l’aspetto tecnico, la qualità sonora del disco è molto buona, nessun particolare da rilevare.

CD 4 – È un dato di fatto che Karl Richter sia noto principalmente per le sue interpretazioni della musica barocca, tuttavia non sono state rare, nella sua vita artistica, le digressioni verso correnti musicali meno antiche, basti pensare a Brahms, presente in questo stesso cofanetto (CD 5), o anche a Max Reger. La registrazione di queste due sinfonie di Franz Joseph Haydn risale al 1961 con l’orchestra dei Berliner Philharmoniker. La direzione è caratterizzata dalla precisione dei tempi tipica del direttore sassone; non sono presenti brusche variazioni del tempo, che invece sono caratteristiche delle letture più romantiche. La dinamica dell’orchestra è ben curata, i piano, i forte e i crescendo si apprezzano bene; del resto l’intensità e la precisione dei Berliner Philharmoniker erano qualità ampiamente dimostrate già all’epoca di queste registrazioni; nel 1955, infatti, il direttore Herbert von Karajan aveva iniziato il lungo lavoro di perfezionamento di quella che nel corso degli anni sessanta diventerà una delle più rinomate orchestre del mondo.

Copertina dell'LP delle composizioni per organo di Mozart, Brahms e Liszt

CD 5 – Come già anticipato nel precedente articolo “Pagine per organo”, qui troviamo due eccellenti e fino ad oggi rarissime esecuzioni: la Fantasia in fa minore K. 608 (per organo meccanico) di Mozart e il Preludio e fuga sul nome BACH di Liszt. Sono inoltre presenti gli 11 Chorale-Preludes (Preludi corali) op. 122 di Brahms che nulla hanno a che vedere con la magnificenza dei due lavori citati in precedenza, ma nei quali Karl Richter cura particolarmente la scelta dei registri; non vi sono due corali che siano eseguiti con la stessa combinazione, senza considerare i cambi di manuale. Si tratta dunque di interpretazioni da non perdere. L’anno è il 1964 e l’organo è lo Steinmeyer della Herkules-saal (sala di Ercole) a Monaco di Baviera (come si può leggere sulla copertina dell’LP originale che trovate in fondo a questo articolo), inaugurato pochi anni prima e del quale il nostro organista sfodera l’intera tavolozza timbrica e le ampie potenzialità espressive. A breve dovrebbero pervenire maggiori informazioni su questo strumento grazie alla gentile collaborazione della stessa fabbrica di organi tedeschi (aggiornamento del 7/8/2006: è disponibile la disposizione fonica dell’organo). Unico neo di queste registrazioni è l’immagine stereofonica un po’ più stretta del normale (cioè i canali sinistro e destro si assomigliano molto) il che può essere imputabile alla disposizione dei microfoni; bisogna inoltre ricordarsi che ci si trova in una sala, la quale presenta quindi un’acustica diversa da quella di una chiesa. In compenso il riverbero risulta piuttosto ridotto, il che conferisce maggiore chiarezza e brillantezza al suono, caratteristiche difficili da riscontrare nelle incisioni organistiche sinfoniche. In conclusione si tratta senz’altro di interpretazioni eccellenti e raccomandabili.

Copertina dell'LP delle incisioni clavicembalistiche di Bach

CD 6 – Händel è stato registrato nel 1954 in mono e la qualità del suono purtroppo ne risente più delle Musikalische Exequien di Schütz, anche se l’anno e il luogo delle incisioni (Herkules-Saal, Monaco) sono gli stessi; in pratica i toni acuti sono troppo evidenti e i toni medi risultano troppo deboli, tuttavia un’equalizzazione più attenta avrebbe portato a un migliore risultato sonoro, come ho potuto constatare personalmente. Bach invece è tutto in stereo e di buona qualità sonora, e tutto suonato con precisione e senza troppi abbellimenti, come sempre quando si parla di Karl Richter. Una menzione speciale la merita la Pastorale in fa maggiore BWV 590, opera eseguita tipicamente all’organo e qui invece suonata al clavicembalo. Richter scelse uno strumento moderno per le sue registrazioni: costruito da Neupert, si tratta di uno strumento un po’ speciale poiché dispone di un forte registro basso di 16′.

CD 7 – Per le Variazioni Goldberg vale quanto scritto poco fa. Il clavicembalo è sempre lo stesso, come pure la pulizia dell’esecuzione. Interessante il gioco dei registri che sottolinea i passaggi di una certa importanza e abbellisce i ritornelli che altrimenti si ridurrebbero davvero a una semplice ripetizione dello stesso pezzo. A proposito dei ritornelli, questa è una delle poche esecuzioni in cui vengono eseguiti tutti, tanto che il disco dura oltre 77 minuti. Buona la qualità del suono.

CD 8 – Queste composizioni di Bach per tenore (Peter Schreier) e organo (Karl Richter) sono poco eseguite e gradirle o meno è questione di gusti, alcuni potrebbero trovarle noiose ma Richter cerca sempre di movimentare l’accompagnamento scegliendo le registrazioni in modo vario, supportato dall’organo Silbermann della cattedrale di Freiberg, autore, tra l’altro, della esemplare registrazione di Richter della Passacaglia in do minore di Bach. Qualità audio molto buona (dopotutto siamo nel 1978).

Disposizione dell'organo Silbermann del Duomo di Freiberg

Potete trovare un altro interessante articolo su questo cofanetto nel blog “Musicalia-Organalia” [Link al post].

Collegamenti utili:
Deutsche GrammophonSteinmeyer OrgelbauResidenz München – Libretto delle Musikalische Exequien: IIIIII.

Retro del cofanetto

Pagine per organo

17 luglio 2006 3 commenti
Fotografia del disco "Pagine per organo"

Il mio primo incontro con l’arte di Karl Richter avvenne per puro caso anni fa ascoltando un’antologia di opere per organo su LP dal titolo «Pagine per organo», che perciò merita una menzione speciale in questo spazio. L’esecuzione di Richter della Fantasia e Fuga BWV 542 di Bach, precisa, impeccabile, mi colpì sin dal primo ascolto e da anni rappresenta il mio riferimento. Solo tempo dopo avrei scoperto le capacità di Karl Richter come clavicembalista e direttore d’orchestra.

Il disco, uscito nel 1983 (Deutsche Grammophon, 410 073-1), contiene anche altri brani suonati da Karl Richter; ecco cosa esegue esattamente:

  • Bach: Fantasia e fuga in sol minore, BWV 542
  • Brahms: Preludio al corale “Herzlich tut mich verlangen”
  • Mozart: Fantasia in fa minore, K. 608
  • Liszt: Preludio e fuga sul nome BACH

Fuori catalogo per molti anni, queste registrazioni sono ora tutte fortunatamente disponibili su CD. Bach lo si trova nel box “Organ Works – Karl Richter” della Deutsche Grammophon serie “The Originals” uscito nel 2005 (codice 477 5337), mentre proprio a giugno di quest’anno (2006) è uscito il cofanetto “Karl Richter: A Universal Musician”, di 8 CD, sempre Deutsche Grammophon (477 6210) in cui si trovano, tra l’altro, le esecuzioni della Fantasia in fa minore di Mozart, del Preludio e fuga sul nome BACH di Liszt e dei Preludi-Corali di Brahms, tutte esecuzioni ascoltabili, fino a qualche settimana fa, solo da LP come questo.

La Fantasia e fuga BWV 542 di Bach è eseguita all’organo Marcussen della Jægersborg Kirke (disposizione), mentre Mozart, Brahms e Liszt sono eseguiti all’organo Steinmeyer della Herkules-Saal della Residenza di Monaco (disposizione).

Dopo aver ascoltato varie esecuzioni della Fantasia K. 608 di Mozart (Guillou, Haselböck per fare qualche esempio), pur trovandole soddisfacenti non posso nascondere la mia tendenza a tornare ad ascoltare Richter: la scelta delle registrazioni, i tempi e la precisione non hanno pari. Lo strumento, costruito nel 1962 e dotato di 75 registri, ha una sonorità che si addice perfettamente sia a questo pezzo Mozartiano che a Liszt, nonostante l’assenza di registri di 32′.

In definitiva sono tutte registrazioni da ascoltare e difficilmente se ne rimarrà delusi. Un’ultima nota tecnica: le incisioni risalgono al 1964 e la qualità audio (stereo, ovviamente) è molto buona; il rumore di fondo si fa notare solo nei passaggi più tenui.

«Pagine per organo» contiene anche pezzi eseguiti da altri organisti:

  • Anonimo: Branle de Champagne
  • Cabanilles: Toccata n. 4
  • L. Couperin: Fantasia in do maggiore
  • Sweelinck: Variazioni sull’antica canzone inglese “Future, my Foe”
  • Janáček: Solo per organo dalla “Messa glagolitica”
  • Bull: Bull’s Goodnight

In effetti lo scopo del disco non era quello di mettere in evidenza Karl Richter ma piuttosto di dare una panoramica generale sulla musica organistica; obiettivo decisamente ambizioso, specialmente se, come in questo caso, si riduce il tutto a meno di un’ora di musica. Chiaramente, nel voler dare un assaggio di musica organistica eseguita in modo pulito, si dev’essere pensato che Karl Richter fosse uno degli artisti più adatti allo scopo.

Riporto di seguito, tra virgolette, le note presenti sul retro della custodia, scritte da Joachim Dorfmüller e tradotte in italiano da Gabriele Cervone. Anche se non si parla degli esecutori, vi sono informazioni interessanti sulle origini e lo sviluppo della musica organistica.

«Si deve risalire fino al secolo VIII per poter cogliere gli inizi della musica per organo: nel 757 Pipino III, padre di Carlo Magno e soprannominato impropriamente anche “il breve”, ricevette in dono un organo dall’imperatore di Bisanzio Costantino V. Ma dovettero trascorrere quasi 70 anni perché questo strumento potesse avere una sua funzione nelle celebrazioni liturgiche; infatti solo nel 824 la Cattedrale di Aquisgrana fu dotata di un organo.
A quei tempi non si poteva parlare in alcun modo di letteratura specificamente organistica. Bisogna attendere quasi 500 anni per trovare musiche di questo tipo: si tratta di preludi (detti “preamboli”), di adattamenti di canti, ma anche di danze, spesso trascritte da composizioni vocali. Si trattava comunque di opere destinate all’organo, come indicano inequivocabilmente i frontespizi di queste raccolte di musiche. I loro autori sono rimasti spesso anonimi, così anche il compositore della Branle, un’antica danza francese di gruppo, che si può ascoltare in questa registrazione – un tipo di musica che nei secoli XVI e XVII era assai popolare.
Nell’era prebachiana quattro maestri – ognuno dei quali è un insigne rappresentante del proprio paese – caratterizzano poi il successivo iter dell’organo nella storia della musica. Sono quasi coetanei l’olandese Jan Pieterszoon Sweelinck e l’inglese John Bull. Sweelinck, che fu organista a partire dal 1580 nella Oude Kerk di Amsterdam, viene a ragione chiamato “il creatore di organisti”: per le sue straordinarie doti pedagogiche godette ai suoi tempi di grande fama. Ma ebbe alti riconoscimenti anche come compositore e a questo avranno certo contribuito le sue variazioni, come ad esempio quelle su “Future, my Foe” (Dalla Fortuna son sospinto). Un momento caratteristico dello stile di Sweelinck è dato dalla fusione di influssi inglesi e italiani. Anche Bull fu organista (da ultimo nella Cattedrale di Anversa) e al tempo stesso compositore. Scrisse cicli di variazioni, fantasie e dei pezzi sul tipo del ricercare. Può valere come esempio della sua arte il brano “Goodnight” (Buona notte). Louis Couperin è il capostipite di una famiglia che ha dato alla storia tanti musicisti in un ampio arco di tempo, dal secolo XVII fino al XIX, come indicano i reperti documentari. Fu zio del famoso François Couperin, che portò l’arte clavicembalistica francese ai suoi più alti fastigi. Lo stesso Louis Couperin, organista nella Chiesa di St. Gervais a Parigi e alla corte del Re Sole, scrisse diverse composizioni dal titolo “Fantasia”, nelle quali è documentata la sua predilezione per i registri bassi – e a quei tempi nuovi – della tromba e cornetta. Più a sud ed esattamente a Valencia, in Spagna, operò Juan Bautista Cabanilles, organista e sacerdote nella Cattedrale della sua città natale. Compì probabilmente un viaggio di studi alla corte del Re Sole e là ebbe modo di conoscere Louis Couperin. Inoltre assimilò le conquiste stilistiche di Girolamo Frescobaldi, organista in S. Pietro a Roma. Di Cabanilles sono rimaste passacaglie, tientos e toccate, e la Toccata n. 4 riflette i tratti caratteristici dell’antica musica spagnola.
In un excursus documentario di composizioni organistiche non può mancare la musica di Johann Sebastian Bach, il più famoso Cantor di S. Tommaso di tutti i tempi. Nella sua produzione organistica – solo per fare un esempio – giungevano a pieno compimento la ricchezza formale e la forza espressiva dell’età barocca, e si compiva la maestria artistica di quei compositori che prima di lui operarono particolarmente nell’Europa centrale. Le esecuzioni e le improvvisazioni di Bach all’organo furono ammirate sempre e ovunque. Sembra che per lui non siano mai esistiti problemi tecnici, sia nell’atto di comporre che nel suonare lo strumento. Ne offre un esempio la Fantasia e Fuga in sol minore qui registrata. La prima parte di questa composizione, scritta nel 1720 a Cöthen, percorre armonicamente il linguaggio dei decenni successivi; la Fuga è da un punto di vista tecnico-interpretativo uno dei più ardui brani per organo che Bach abbia mai scritto. A queste vette assolute rappresentate dalla musica bachiana seguì un periodo di stasi. I grandi Classici si dedicarono appena alla musica organistica. Fu più di tutti Wolfgang Amadeus Mozart a lasciare agli organisti dei brani di rilievo, anche se scritti in realtà per organo meccanico (uno strumento automatico allora assai in voga) – è questo appunto il caso della Fantasia in fa minore qui registrata. Se la forma di rondò è classica, i passaggi fugati – realizzati con grande maestria contrappuntistica – rimandano invece allo stile barocco. Qui Mozart fa il suo atto di riverenza nei confronti di Bach – un atteggiamento che contraddistingue anche il Preludio e Fuga sul nome BACH di Franz Liszt, la prima composizione organistica concepita in una dimensione di virtuosismo pianistico, che sia stata scritta sulle note si bemolle (B) – la (A) – do (C) – si (H), una sigla da allora in poi sempre prediletta dai compositori di musica organistica. È invece concepito come una meditazione il Preludio a “Herzlich tut mich verlangen” di Johannes Brahms, una musica legata al contenuto testuale e che dà espressione all’anelito di morte e al desiderio di liberazione dai dolori terreni. L’ultima composizione di questa serie di registrazioni è di Leos Janáček, che ancor prima di Bartók acquisì alla musica d’arte l’elemento folcloristico (quello della Moravia, sua terra natale). La “Messa glagolitica” è una delle sue opere più significative nel genere sacro; questa messa si conclude con un Solo per organo, veramente insolito per una composizione vocale, e tuttavia comprensibile in un compositore che non solo fondò una scuola organistica ma che la diresse anche per quasi un trentennio.»

Joachim Dorfmüller (Traduzione: Gabriele Cervone).

Collegamenti utili: Jægersborg KirkeDisposizione dell’organo MarcussenDisposizione dell’organo SteinmeyerDeutsche Grammophon.

Copertina Retro Disco in vinile