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L’Italia e il calcio

Non riesco più a sopportare che si adoperi il linguaggio calcistico in modo inopportuno, ossia al di fuori dello sport. Questo triste fenomeno si verifica in politica ormai da oltre dieci anni, per esempio. Si sente spesso di qualche politico che "scende in campo" (e non si tratta certo del campo di battaglia), questo è un tipo di espressione che rende perfettamente l’idea di quello che voglio dire, ma di esempi se ne potrebbero fare molti altri. Forse qualcuno pensa che questo sia l’unico modo per far capire certe cose alle persone? Facendo paragoni con situazioni calcistiche? Spero di no, ma potrebbe darsi, vista la dipendenza dal calcio che ci ritroviamo (e per fortuna non parlo per me). La cosa importante è comunque non scambiare il gioco con la realtà. Dal calcio non ci torna nulla (casomai ci costa) e magari se ne sente discutere nei bar, ma tutto finisce lì; la politica invece può determinare il nostro modo di vivere e non è possibile che, come per il calcio, se ne discuta in un bar e poi tutto finisca lì. I francesi (a parte i delinquenti sempre presenti ovunque) ci hanno dimostrato che è possibile farsi sentire. Noi non ci siamo mai fatti sentire seriamente né per l’università, né per il precariato, né per le truffe bancarie (e c’è sicuramente altro ancora); al massimo ci siamo fatti sentire per qualche squadra condannata alla retrocessione o a non potersi iscrivere al campionato (tra l’altro per motivi di legalità).

Contra calcem

30 luglio 2005 4 commenti

Sempre più spesso mi domando in che razza di paese io viva… Un paese in cui diecimila tifosi del Genova invadono in corteo le vie della città, bloccano il casello autostradale o il porto, perché la loro squadra è stata retrocessa in serie C per "illecito sportivo"! Ora, al di là del fatto che le regole sono regole e che quindi non si possono comprare le partite, a prescindere ora da quale sia la realtà, che non conosco (ma immagino che neanche quei diecimila sappiano bene come siano andate le cose), io non ci posso credere. Non posso credere che il calcio sia così importante per queste persone, tantopiù ora che si è ridotto praticamente ad un mercato in cui, oltretutto, chi paga è chi va allo stadio e chi vede le partite a pagamento. Quando c’è stata la crisi della Parmalat non mi pare di aver visto nessun corteo a reclamare i propri risparmi che erano stati investiti in una società che le banche SAPEVANO essere sull’orlo del baratro (almeno finanziariamente); è questo l’assurdo di questo paese, e di esempi se ne potrebbero fare a decine.

Certo, il calcio dà emozioni, non voglio assolutamente denigrarlo come sport; il fatto è che, ormai, in Italia, il calcio (e non solo il calcio) non è più uno sport, ma un commercio, e mi sorprende che in tanti non se ne siano ancora accorti. Lo scandalo del calcio-scommesse, le false fideiussioni… ma non va forse tutto a danno di chi vuole un calcio vero? Per farlo tornare ad essere uno sport penso ci sia un solo modo: non finanziarlo più. Certo è che, se diecimila genovesi vivono per il calcio, in un paese dove al parlamento si è approvato il "salva-calcio" (ma perché IO devo essere costretto a pagare per coprire i debiti delle società di calcio?), e dove il primo ministro è presidente di una squadra di calcio, penso proprio che bisognerà sopportare ancora a lungo.

Il "salva-calcio" è uno scandalo. In un’economia globale e libera non si può favorire una società piuttosto che un’altra. Perché le società di calcio italiane (e la FIAT) devono essere avvantaggiate rispetto a le altre società di tutto il mondo? Ci dicono: "perché non ci può rimettere la gente, che vuole vedere il calcio", ma, così facendo, è proprio la gente che ci rimette.

Veniamo presi in giro continuamente in questo paese, ma, alla luce di quanto è successo, forse la maggior parte di noi se lo merita.