Ancora sulle rimasterizzazioni di musica classica
Rimasterizzare registrazioni del passato potrebbe sembrare un’attività relativamente semplice; si può essere tentati di immaginarla come un riversamento da un vecchio supporto, solitamente analogico, ad un nuovo supporto digitale, fatto con tutte le dovute attenzioni. In realtà le cose non sono sempre così lineari e prevedibili. Molto dipende dal tipo di sorgente, e a seconda dei casi, possono essere necessari pochi giorni di lavoro come settimane.
Nei primi decenni della registrazione sonora, grosso modo dalla fine dell’ottocento fino agli anni 50 del ‘900, le registrazioni erano tutte monofoniche (salvo rarissime eccezioni) e venivano effettuate facendo convergere in qualche modo le vibrazioni sonore direttamente verso il supporto di memorizzazione. Inizialmente si incideva direttamente su dischi o cilindri ricoperti di cera; successivamente, più o meno a partire dagli anni 40, grazie allo sviluppo dell’elettronica, si iniziò ad utilizzare il nastro magnetico che in pochi anni sostituì totalmente l’incisione meccanica diretta.
Nel caso di registrazioni di questo tipo, di norma l’operazione di rimasterizzazione non si presenta particolarmente laboriosa in quanto si tratta fondamentalmente di effettuare un attento trasferimento da un supporto di memorizzazione d’epoca ad un supporto moderno. Pur non trattandosi di un’attività molto onerosa in termini di tempo, il trasferimento richiede comunque la conoscenza delle tecniche di registrazione utilizzate in origine. Una volta giunti nel dominio digitale, infatti, si potrebbe dover elaborare opportunamente il segnale al fine di riprodurre quanto originariamente captato dal microfono o dal corno acustico. Sarà inoltre possibile intervenire sulle registrazioni per cercare di rimuovere eventuali disturbi considerati troppo invasivi. Questa parte del lavoro è molto delicata perché richiede l’applicazione sinergica di competenze tecniche e artistiche; interventi eccessivi rischiano infatti di snaturare l’evento sonoro originale, e non ci vuole molto per passare da una rimasterizzazione eccellente ad un lavoro mediocre.
Quanto detto finora vale grosso modo anche per le successive registrazioni stereofoniche degli anni 50 e 60, le quali solitamente differiscono dalle precedenti per l’uso di due o tre microfoni invece di uno solo, e per l’adozione esclusiva del nastro magnetico; a questo punto però si presentano anche delle questioni nuove: occorre infatti trattare non più uno, ma una molteplicità di segnali che andranno quindi bilanciati ed eventualmente miscelati per produrre il risultato sonoro definitivo. Ancora una volta entra in gioco la sensibilità artistica del tecnico che dovrà regolare opportunamente i segnali.
Dalla fine degli anni 60, invece, le cose iniziano a complicarsi un bel po’. Comparsero infatti i registratori multitraccia, che consentivano di memorizzare su uno stesso nastro magnetico, non una o due, ma tra le 8 e le 24 tracce sonore in parallelo. Tali tracce possono essere il risultato di disposizioni variabili a piacere di più microfoni; ad esempio nelle registrazioni d’orchestra i microfoni possono essere posizionati nelle vicinanze dei diversi gruppi strumentali in modo da garantire una ripresa chiara e dettagliata di ogni voce. Si può dire che questi apparecchi cambiarono per sempre il modo di registrare la musica. Ne consegue che, ferma restando l’attività di digitalizzazione di tutte le singole tracce del nastro, non è pensabile eseguire una miscelazione senza regolare attentamente il livello di ciascuna traccia. Se infatti banalmente si procedesse ad unirle tutte, si perverrebbe ad un totale caos, dove, ad esempio, un flauto e una tromba si ritroverebbero a livelli di intensità incoerenti tra loro. L’obiettivo deve essere invece quello di (ri)costruire un suono naturale ed equilibrato, il suono che si sarebbe potuto sentire nella migliore delle poltrone di un’ipotetica platea. È evidente che questo tipo di attività è estremamente complesso e può richiedere ore e ore di ascolto e di tentativi di miscelazione per ottenere il miglior risultato possibile. Nei casi più fortunati, le sessioni di registrazione possono essere state documentate con indicazioni circa la regolazione dei livelli, l’equalizzazione e ogni altra elaborazione sonora da applicare alle diverse tracce. Diversamente, al tecnico non resta che procedere per tentativi, facendosi guidare dal suo orecchio allenato all’ascolto dal vivo e, se possibile, da una versione dello stesso materiale già masterizzata in passato, ad esempio per una precedente pubblicazione discografica.
Fino ad ora si è fatto solo un brevissimo cenno alle difficoltà che si possono incontrare prima di entrare nel dominio digitale, ossia quelle legate alla lettura del supporto originale, ma in realtà si tratta di una questione alquanto delicata. Prima di tutto non è sempre facile disporre di un riproduttore analogico adatto, potrebbero essere infatti necessarie apparecchiature fuori produzione da decenni. Quanti hanno a casa un riproduttore di musicassette o videocassette funzionante in modo decente? Il progresso tecnologico del secolo scorso ha inoltre reso sempre più sofisticate le catene di elaborazione del segnale, inizialmente inesistenti. Verso la metà degli anni sessanta, ad esempio, fu ideato e adottato in breve tempo un sistema di riduzione del rumore di fondo denominato Dolby A. Tale sistema prevedeva un particolare processo di codifica del segnale in fase di registrazione, processo che deve essere operato in modo inverso in fase di lettura utilizzando un decodificatore dotato di una specifica circuiteria. Errori di decodifica possono pregiudicare notevolmente la qualità del segnale riprodotto e non sono perciò accettabili.
Tutto quanto detto, naturalmente, presuppone che tutti i problemi relativi alle condizioni fisiche del supporto originale siano stati risolti, cosa assolutamente non da poco, specie quando si tratta di supporti con diversi decenni sulle spalle e che quindi possono aver subito un naturale deterioramento dei loro componenti. Proprio il fatto che i supporti di registrazione, anche quando perfettamente conservati, tendano inesorabilmente al deterioramento, determina l’esigenza di effettuare una digitalizzazione con la risoluzione più elevata possibile in modo da estrarre tutta l’informazione presente sul supporto originale, mitigando il problema del deterioramento, o meglio trasferendolo sul nuovo supporto digitale, il quale però può essere riprodotto e duplicato con relativa facilità e senza perdite.
Per approfondire questo vastissimo discorso, consiglio la visione dei seguenti filmati che documentano alcune fasi del progetto di rimasterizzazione delle sinfonie di Beethoven dirette nel 1979 da Leonard Bernstein, che furono registrate dalla Deutsche Grammophon su nastro analogico multitraccia (8 e 16 piste). Tali rimasterizzazioni sono state effettuate nel 2018. Per la cronaca, la Deutsche Grammophon iniziò ad utilizzare il registratore digitale a partire dal 1980 su pressione del direttore d’orchestra Herbert von Karajan.
Infine, una lettura sicuramente raccomandabile è la dispensa Restauro Materiale Audio a cura del prof. Sergio Canazza dell’Università di Padova. Pur risalendo all’anno 2000, il testo rimane molto interessante per le sue indicazioni di principio e per la precisione della trattazione.
Collegamenti utili: Breve storia della registrazione audio – A Brief History of Recording to ca. 1950.
L’organo restaurato della cattedrale di S. Lorenzo a Perugia
Corpo d’organo dell’abside (foto tratta dal sito della ditta organaria Pietro Corna).
L’attuale organo Tamburini della cattedrale di Perugia è uno strumento di costruzione relativamente recente: progettato intorno alla metà degli anni sessanta da Fernando Germani, già organista della Basilica di San Pietro in Vaticano, fu da lui stesso inaugurato nel 1967. Gli 87 registri suddivisi in quattro manuali e pedaliera ne palesano la vocazione sinfonica, e consentono di eseguire con buoni risultati un repertorio molto vasto. A differenza di molti strumenti di questo genere, si può apprezzare abbastanza chiaramente il carattere dei vari registri, che si prestano bene anche all’uso solistico. La ditta Pietro Corna, che si è occupata del restauro dello strumento, ha provveduto anche ad aggiungere alcune nuove file di canne: un Open Diapason 8′ al Grand’organo e delle Trombe orizzontali (en chamade) a forte pressione di 16′, 8′ e 4′; queste ultime in particolare arricchiscono la forza espressiva dello strumento, che già disponeva di Cromorno, Oboe, Voci corali e di altri registri di tromba. Le canne sono ripartite in due corpi distanti alcuni metri tra loro, e la consolle è a trasmissione elettrica, risultando così ricollocabile con una certa libertà all’interno della chiesa.
A seguito del restauro, il 21 novembre 2015 (casualmente il giorno di Santa Cecilia) l’organista titolare Adriano Falcioni ha tenuto un concerto di inaugurazione con il seguente programma:
- J. S. Bach: Passacaglia e thema fugatum, BWV 582
- J. Jongen: Sonata Eroica, op. 94
- J. S. Bach: Sicilienne dalla sonata per flauto, BWV 1031 (trascrizione di L. Vierne)
- L. Vierne: Carillon de Westminster, op. 54 n. 6
- J. S. Bach: Corale “Nun komm, der Heiden Heiland”, BWV 659
- M. Duruflé: Suite op. 5 (Prelude, Sicilienne, Toccata)
La Passacaglia, eseguita in crescendo, consente fin da subito di apprezzare la varietà timbrica del Tamburini: dopo l’esposizione iniziale del tema al pedale con soli registri di basso (16′ e 8′), si aggiungono i manuali, prima con bordoni e flauti, e poi gradualmente con i principali e le relative file di ripieno. Non mancano alcune parentesi particolarmente recitative con il registro d’oboe. Man mano che la Passacaglia si sviluppa, fanno il loro ingresso anche le ance, fino ad arrivare alla Bombarda 32′, la cui canna più lunga suona proprio nell’ultimo accordo. Il Thema fugatum presenta una progressione simile e, analogamente alla Passacaglia, culmina con un potentissimo Tutti.
La Sonata Eroica di Joseph Jongen permette anch’essa di esprimere la dinamica dello strumento, anche se in modo totalmente diverso da Bach. Si apprezza in particolare la versatilità delle ance, che si rivelano adatte al repertorio romantico e moderno francese.
L’acustica della cattedrale di Perugia non è tra le più semplici da gestire, sono necessari tempi nell’ordine dei secondi affinché il suono si stabilizzi all’interno dell’edificio; il fatto che le canne siano dislocate in corpi diversi rende ancora più complicato il lavoro dell’organista. La potenza dell’organo consente di riempire la chiesa senza problemi, ma al tempo stesso l’acustica impone dei limiti al virtuosismo dell’esecutore soprattutto quando entrano in gioco molte file di canne. Il rischio è che un’esecuzione troppo veloce produca un suono confuso a causa della sovrapposizione di troppi suoni che insistono a riflettersi tra le pareti della cattedrale.
Il delicato Siciliano di Bach, nella trascrizione per organo di Louis Vierne, evidenzia le potenzialità recitative dell’organo sia con l’ancia Voci corali che con il semplice registro di Principale, il quale presenta una sonorità che si sposa perfettamente anche con la musica romantica francese. Ne è dimostrazione l’opera successiva, Carillon de Westminster, che inaspettatamente attacca alla fine del brano precedente, quasi senza interruzione. L’organista si muove con sicurezza tra le tastiere e i pedali di questo strumento, gestendone anche le numerose combinazioni programmabili; nel caso del Carillon, anche le casse espressive mostrano chiaramente la loro efficacia.
A seguire, nel corale di Bach BWV 659, il canto è affidato ai registri di mutazione e si apprezza in particolare una terza piuttosto forte, ben adatta al repertorio barocco tedesco e francese.
Chiude il programma la Suite di Duruflé che, nella sua complessità, mette alla prova il Tamburini (e ovviamente pure l’organista) su tutti i fronti: dinamico, timbrico e recitativo.
Adriano Falcioni ha dimostrato ottima conoscenza e padronanza dello strumento; ogni partitura è stata preparata nei minimi dettagli anche dal punto di vista della registrazione, un fattore importante quando si parla di organi che dispongono di una tavolozza timbrica così ampia.
Le combinazioni scelte, oltre ad aver messo in evidenza le capacità sinfoniche dell’organo, hanno mantenuto alta l’attenzione del pubblico anche nel caso delle composizioni più complesse in programma come la Sonata Eroica di Jongen, la Suite op. 5 di Duruflé e anche la Passacaglia, in cui ad ogni variazione di Bach, l’organista ha fatto corrispondere una variazione timbrica. Quest’ultimo caso è particolarmente interessante perché attualmente, per motivi legati alla cosiddetta (e supposta) prassi esecutiva autentica, è molto raro poter ascoltare esecuzioni suggestive come quella di Falcioni, vicina, se vogliamo, alle storiche interpretazioni di Karl Richter, Helmut Walcha e Fernando Germani. Sempre più spesso, invece, la Passacaglia viene eseguita con l’organo pleno praticamente dall’inizio alla fine, con minime variazioni di registrazione, producendo un risultato sì interessante ma a mio avviso decisamente meno coinvolgente.
In definitiva, questo Tamburini si rivela uno strumento eclettico che si presta bene all’esecuzione dei capolavori romantici francesi (Franck, Guilmant e anche Vierne e Widor), grazie alle recenti aggiunte nel comparto ance. Le numerose file di ripieno, nonché la presenza del registro di Voce umana, rendono possibile anche l’esecuzione del repertorio italiano. I registri di mutazione, sia semplici che composti come Sesquialtera e Cornetto, insieme con la buona dotazione di flauti, permettono infine di eseguire gran parte della musica tedesca a partire dal periodo barocco.
Organo Tamburini, Cattedrale di S. Lorenzo, Perugia (1967)
Corpo d’organo del transetto (foto tratta dal sito della ditta organaria Pietro Corna).
Il monumentale organo della cattedrale di S. Lorenzo è stato costruito dalla Pontificia Ditta Cav. Giovanni Tamburini di Crema su progetto di Fernando Germani che lo inaugurò il 14 settembre 1967. Lo strumento è collocato in due distinti corpi sonori: uno nell’abside che comprende il “Positivo”, il “Grand’Organo” e “Pedale”; l’altro nel transetto di sinistra con “Recitativo Espressivo”, il “Solo Espressivo” e un’altra sezione del “Pedale”. Le canne sono in numero 5178 suonanti, facenti capo a 141 placchette di cui 87 registri sonori e un sistema di 8 combinazioni libere per 103 diversi banchi di memoria. L’intervento di restauro, durato più di un anno e affidato alla ditta Pietro Corna, ha riguardato pulitura e manutenzione straordinaria, intonazione e accordatura, miglioramento fonico strutturale con l’aggiunta del nuovo registro di Open Diapason 8′ e delle Trombe ad alta pressione di 16′-8′-4′ su misure Cavaillé-Coll (i nuovi registri sono contrassegnati da un asterisco nella disposizione fonica che segue).
Disposizione fonica
I. Positivo (61 note) III. Recitativo espressivo (61 note) IV. Solo (61 note) |
II. Grand’organo (61 note) Pedale (32 note) |
Unioni e accoppiamenti
Unione I-P, Unione II-P, Unione III-P, Unione IV-P, Acuta I-P, Acuta II-P, Acuta III-P, Acuta IV-P;
Unione III-I, Unione IV-I, Grave IV-I, Grave III-I, Grave I, Annullatore Unisono I, Acuta I, Acuta III-I, Acuta IV-I;
Unione I-II, Unione III-II, Unione IV-II, Grave IV-II, Grave III-II, Grave I-II, Grave II, Annullatore Unisono II, Acuta II, Acuta I-II, Acuta III-II, Acuta IV-II;
Unione IV-III, Grave IV-III, Grave III, Annullatore Unisono III, Acuta III, Acuta IV-III;
Unione II-IV, Grave IV, Annullatore Unisono IV, Acuta IV.
L’organo della chiesa di S. Agostino a Santa Vittoria in Matenano
Organo della chiesa di S. Agostino a Santa Vittoria in Matenano
Anon. XV sec. – Berardino Urbani (1603) – Giuseppe Attili (1736, 1748) – Michel Formentelli (2009)
Caratteristiche
Trasmissione: interamente meccanica.
Somiere principale in noce con 11 registri; piccolo somiere ausiliario ad alimentazione separata per Mi-Re-Do del Principale 16′.
Tre mantici cuneiformi originali collocati nel basamento dell’organo.
Pressione del vento: 59 mm di colonna d’acqua.
Temperamento: mesotonico modificato, con 5 terze quasi pure: do-mi, fa-la, sol-si, re-fa#, la-do#.
Disposizione fonica
Manuale (45 tasti, do 1-do 5, 1ª ottava corta) Pedale (17 tasti, do 1-sol# 2, ottava corta) Accessori |
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Discografia
J’aime la biauté – Jean-Christophe Leclère
à l’orgue de l’eglise S. Agostino – Santa Vittoria in Matenano
(Chordis & Organo, 2010-01)
Tracklist
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Organo Van Hagerbeer/Schnitger della St. Laurenskerk di Alkmaar
Organo della St. Laurenskerk di Alkmaar
Van Hagerbeer (1646, 1653) – F. C. Schnitger (1725) – Flentrop (1949, 1986)
Disposizione fonica del 1949 (D. A. Flentrop)
II. Hauptwerk I. Rückpositiv |
III. Oberwerk Pedal |
Intonazione: Kammerton (La = 435 Hz). |
Discografia parziale 1949-1986
Bach: The Organ Works – Walcha (¹) |
Bach: Organ Works – Walcha |
Bach: The Art of Fugue – Walcha (²) |
Fernando Germani plays Bach |
(¹) Solo BWV 525, 530, 534, 537, 538, 540, 541, 542, 543, 544, 546, 547, 548, 562, 564, 565, 572, 582, 1080.
(²) Sebbene la foto di copertina ritragga Helmut Walcha all’organo Silbermann della chiesa di Saint-Pierre-le-Jeune a Strasburgo, l’organo usato per l’incisione è quello di Alkmaar.
Disposizione fonica del 1986 (Flentrop Orgelbouw)
II. Groot Manuaal (C-d”’) I. Rugpositief (C-d”’) |
III. Bovenwerk (C-d”’) Pedaal (C-d’) |
Intonazione: La = 415 Hz. |
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La disposizione fonica del 1949 è tratta dal libretto allegato al cofanetto Bach Organ Works – Helmut Walcha; quella del 1986 è tratta dal sito www.schnitger.nl.