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Ascolti un po’ meno recenti: Janáček

8 gennaio 2007 9 commenti
Copertina CD: "Janáček Messa Glagolitica" diretta da Rafael Kubelik (Deutsche Grammophon)

Uno dei capolavori di Leóš Janáček, compositore a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, è la "Messa Glagolitica". Il nome deriva dalla lingua del testo, il glagolitico appunto, che è la più antica lingua slava conosciuta. È noto il forte legame tra questo compositore e le tradizioni della sua terra, la Moravia; terra che, nonostante non abbia nulla di così speciale, si è sempre dimostrata particolarmente fertile, artisticamente parlando.

Vicino a compositori romantici come Dvořák e Smetana, non ne condivideva però lo stile compositivo; in effetti egli compose "con un linguaggio anticonvenzionale e antiromantico, nemico della bella frase e degli sviluppi logici, anzi operando a scatti, per giustapposizioni e contrasti, con cambi di rotta improvvisi e collegamenti audaci, con certe uniformità vocali e asperità strumentali di somma efficacia" (da Piero Mioli, Dizionario di musica classica, BUR) dunque gli amanti di romanticismo e classicismo sono avvertiti: abituare l’orecchio a Janáček non sempre si rivela semplice e veloce e non è raro che all’inizio si abbia l’impressione di trovarsi di fronte ad autentica spazzatura, ma col tempo le cose cambiano e Janáček può dare grandi soddisfazioni, come per me è stato nel caso di questa composizione.

Ho tradotto qualche nota più dettagliata dal libretto annesso al CD, che poi avrò modo di citare puntualmente. Le note originali sono a cura di Teresa Pieschacón Raphael (Deutsche Grammophon) e naturalmente erano state tradotte in tutte le lingue tranne che in italiano.

«Janáček abbozzò la Messa Glagolitica nell’arco di sole tre settimane del 1926 mentre si trovava alle terme morave di Luhacovice. L’opera mirava a segnare il decimo anniversario dell’indipendenza della cecoslovacchia e a celebrare i missionari slavi Cirillo e Metodio che, nel nono secolo, portarono in Moravia il cristianesimo dall’est. Furono loro a tradurre i testi biblici in slavo antico, usando la scrittura "Glagolitica" da loro stessi ideata.
Gli esecutori di questa registrazione si sono trovati di fronte ad una vera e propria sfida: non solo hanno dovuto apprendere suoni inusuali ma, rispettando il volere del compositore stesso, hanno dovuto porre la massima attenzione al dettaglio linguistico e all’intonazione. L’ascoltatore cercherà invano la solennità che per tradizione si associa ai componimenti sacri. Janáček rifiutò l’introversione e la pietà addolorata propria della cristianità del diciannovesimo secolo; per Janáček le chiese erano come "morte concentrata". Le sue credenze religiose affondavano le radici in una visione panteistica della natura, che volle esprimere con forza. La sua messa doveva essere "priva dell’oscurità delle celle dei monasteri medievali, senza l’eco delle strade già percorse dell’imitazione, senza l’eco delle fughe ingarbugliate alla Bach, senza l’emotività di Beethoven, senza l’allegria di Haydn". Voleva dimostrare "come si dovrebbe parlare al caro Signore" e sperò che, nello scrivere l’opera, riuscisse a "manifestare la fede nella certezza della patria".»
(note originali di Teresa Pieschacón Raphael – Deutsche Grammophon)

La messa si divide in otto movimenti, avvicinandosi alla consueta organizzazione liturgica:

  1. Uvod (Introduzione)
  2. Gospodi pomiluj (Kyrie)
  3. Slava (Gloria)
  4. Veruju (Credo)
  5. Svet (Sanctus)
  6. Agnece Bozij (Agnus Dei)
  7. Varhany solo (Solo per organo)
  8. Intrada

Di questa composizione conoscevo fino a qualche tempo fa solamente il settimo movimento "solo per organo" perché incluso nella raccolta "Pagine per organo" (di cui ho già parlato qui alcuni mesi fa). In effetti l’organo gioca un ruolo fondamentale nella composizione, sebbene gli siano riservati solo due assoli: uno a metà del Credo e l’altro, appunto, nel settimo movimento.
La composizione si apre con l’Introduzione, dove trombe e timpani in tono trionfale sono seguite dagli archi, quindi prosegue con un’alternanza tra archi e fiati.
Con il Kyrie si cambia drasticamente atmosfera, la quale diviene molto più tetra e significa bene l’idea delle colpe commesse dai mortali, che implorano il perdono divino, e termina rimanendo quasi in sospeso, come nell’attesa del responso celeste.
L’attacco del Gloria è delicatissimo e la voce del soprano irrompe quasi subito in modo deciso e maestoso, dando vita a un movimento vivace che giunge all’apice con l’amen finale dove si odono insieme gli ottoni, la voce brillante dell’organo, e i timpani.
Il Credo è molto elaborato, ogni verso è rappresentato con la propria atmosfera e intensità, ricco di quei "cambi di rotta improvvisi" già menzionati; in particolare il breve assolo d’organo che introduce il drammatico passo della crocefissione giunge inaspettato ed è seguito dal violento attacco del coro.
Il Sanctus è uno dei pezzi più belli tutta la messa, comincia con una melodia dolcissima affidata agli archi, dopodiché il ritmo cambia decisamente ed emerge un tratto caratteristico di Janáček: la ripetizione insistente dello stesso motivo, cambiato magari di tono e modo.
L’Agnus Dei dà proprio l’idea di una supplica, si avvia oscuro con flauti e archi, poi attacca il coro, quindi intervengono i solisti a partire da basso, poi il tenore e così via; dopodiché di nuovo il coro, l’apice con gli ottoni e la conclusione, oscura come l’inizio. A questo punto nessuna tregua, si parte con il Solo per organo. La sua presenza potrebbe apparire inconsueta, in effetti esce dagli schemi tradizionali della messa, ma l’organo ha sempre rivestito un ruolo particolare per Janáček, avendo egli fondato e diretto per molti anni proprio una scuola organistica.
A concludere l’opera, l’Intrada: un breve pezzo maestoso e trionfale dove archi e ottoni si alternano più volte fino a unirsi nel finale in cui archi e trombe sembrano impazzire di esultanza insieme ai timpani, mentre i tromboni affiorano con gli accordi.

L’esecuzione analizzata risale al 1964; coro e orchestra della radio bavarese di Monaco, diretti da Rafael Kubelik, conterraneo ed estimatore di Janáček. L’organo è lo Steinmeyer della sala di Ercole della residenza di monaco, in cui è stata ovviamente registrata l’esecuzione; alla consolle troviamo Bedrich Janáček. Quest’organo è già stato trattato in un precedente articolo a cui si rimanda. Il CD è della Deutsche Grammophon, serie The Originals (463 672-2), e include anche il "Diario di uno scomparso", sempre di Janáček. La qualità tecnica è molto buona, non ci sono difetti da segnalare.

Un ringraziamento infine va a Giada, che mi ha incoraggiato ad analizzare l’opera di questo compositore in verità poco conosciuto.

Copertina posteriore

Msa Glagolskaja organ orgel orgue varhany

Bach: Organ Works – Karl Richter

25 settembre 2006 6 commenti
Copertina dell'album: Bach Orgelwerke Karl Richter

Le incisioni organistiche di Karl Richter per la Deutsche Grammophon sono state per anni una rarità; nel tempo si sono susseguiti in catalogo diversi album contenenti una parte delle registrazioni, questi venivano poi regolarmente posti fuori stampa dopo qualche anno dal rilascio; solo per il mercato giapponese fu reso disponibile per un certo periodo un box di cinque dischi (Archiv POCA 2023/7 435 130-2, rilasciato nel 1991). Poi finalmente all’inizio del 2005 è uscito questo cofanetto contenente tre CD che non dovrebbero mancare agli amanti della musica per organo. Qui c’è tutto il Bach organistico inciso da Richter per la Deutsche Grammophon, ad eccezione dei concerti per organo, disponibili in un CD separato (Archiv 431 119-2) che però al momento risulta “stranamente” fuori catalogo.

Compositore: Johann Sebastian Bach
Titolo: Orgelwerke (Organ Works · Œuvres pour orgue)
Organista: Karl Richter
Casa discografica: Deutsche Grammophon
Anno delle registrazioni: 1964, 1966, 1967, 1968, 1978 ADD
Serie: The Originals (medio prezzo)
Data di uscita sul mercato internazionale: 01/02/2005
Numero di catalogo: 477 5337 – EAN: 0028947753377
Formato: 3 CD in box di plastica jewel case.

Contenuto:
Sonate a tre voci BWV 525, 526, 529
Toccate e fughe BWV 538, 540, 565
Preludi e fughe BWV BWV 532, 543, 544, 546, 548, 552
Fantasia e fuga BWV 542
Passacaglia e fuga BWV 582
Canzona BWV 588
Corali BWV 645, 650, 654
Partite BWV 767, 768

Tutte le composizioni sono state eseguite tra il 1964 e il 1968 all’organo Marcussen & Søn della Jægersborg Kirke di Copenaghen (che campeggia con le sue trombe anche sulla copertina del box), escluse BWV 538, 582 e 768 registrate invece nel 1978 al Grande organo Silbermann della cattedrale di Freiberg, del quale sono disponibili ulteriori informazioni in un precedente articolo. In fondo a questo articolo sono pubblicate le disposizioni foniche di entrambi gli strumenti tratte dal libretto allegato al presente cofanetto.

Ascoltando queste interpretazioni non si può non riconoscere un profondo rispetto della partitura, in particolare nella precisione nei tempi; questa caratteristica non è però sinonimo di scarsa sensibilità, Richter fa infatti saggio uso delle registrazioni possibili sullo strumento, qualsiasi esso sia; del resto era sua abitudine variare a mano le combinazioni di registri persino nel bel mezzo di esecuzioni dal vivo e senza alcun tentennamento. In questo senso una menzione speciale spetta alla passacaglia e fuga BWV 582, interpretata in modo insolito rispetto alla prassi odierna (per es. Wolfgang Rübsam, Hans Fagius, Marie-Claire Alain) che la vuole eseguita con l’Organo Pleno seguendo tra l’altro fedelmente l’indicazione riportata su di uno spartito ritenuto attendibile; Richter, come detto, si distingue poiché, cominciando fondamentalmente con un flauto al manuale e un basso al pedale, realizza un crescendo che culmina verso il termine della passacaglia, suonato effettivamente con l’Organo Pleno, prima dell’inizio del thema fugatum. In quest’aspetto si avvicina all’interpretazione di Helmut Walcha, il quale però inizia con una registrazione già più ricca (ma senza ripieni e ance, per intenderci) e procede più speditamente. Anche la fantasia e fuga BWV 542 e il preludio e fuga BWV 544 sono da ascoltare per la singolare scelta dei registri.

Copertina dell'album Archiv POCA 2023/7 435 130-2, 1991
Edizione giapponese (5 CD) [Retro]
Copertina dell'album Archiv 431 119-2, 1990
Concerti per organo BWV 592-597

L’interpretazione della toccata e fuga “Dorica” BWV 538 è veramente imperdibile: Richter predilige uno stile molto legato ed effettua diversi cambi di manuale sfruttando appieno lo storico Silbermann. Dopo l’ascolto, il rischio di non poter avere altra “Dorica” all’infuori di questa è decisamente elevato.

Richter dà inoltre lezioni di tecnica e virtuosismo in molte occasioni, in particolare nelle fughe dei BWV 532 e 548, eseguite a velocità precluse ai più mantenendo al tempo stesso distinguibile ogni singola nota; in proposito c’è da ascoltare anche la conclusione del preludio e fuga BWV 543.

I corali BWV 645, 650 e 654 sono caratteristici per le scelte timbriche adottate; l’esecuzione del primo, »Wachet auf, ruft uns die Stimme« (tradotto “Svegliatevi, la voce ci chiama”), è ancora più particolare a causa del tempo molto dilatato; questa scelta non è affatto casuale: Kieth Engen racconta che Richter, rispondendo a dei giovani americani che gli domandavano perché lo eseguisse così lentamente, disse che, in fondo, questo corale è una sveglia, “Wachet auf”, e quindi non dovrebbe essere eseguito con veemenza ma, al contrario, con tranquillità e dolcezza.

Unici nei, volendo proprio essere pignoli, sono la toccata BWV 565, che poteva forse essere “aggredita” di più nella parte iniziale, a cominciare dai celeberrimi mordenti, e suonata un po’ più velocemente (ottima invece la fuga: chiara, brillante, precisa), e le partite diverse sopra »Sei gegrüßet, Jesu gütig« BWV 768, non sempre eccellenti; di alcune variazioni, ad esempio la penultima, possono essere preferibili le esecuzioni più “recitate” di Wolfgang Rübsam o Helmut Walcha.

L’organo Marcussen (Copenaghen), strumento di costruzione moderna (1944) ma ispirato alla tradizione barocca tedesca, è caratterizzato da sonorità brillanti e nel complesso bilanciate; dispone in particolare di un registro di tromba orizzontale che Richter inserisce sovente insieme al ripieno producendo un effetto gradevole nonché insolito e mettendo in luce dei dettagli delle partiture bachiane che rimarrebbero altrimenti nascosti nell’amalgama.
Lo strumento di Freiberg è invece un autentico organo barocco germanico di dimensioni ragguardevoli e con caratteristiche foniche tali da permettere una grande espressività nell’esecuzione grazie alla presenza di registri forti e brillanti insieme a numerose file di ripieni acuti e gravi, e al tempo stesso di registri dolci come i flauti, la Vox humana e il Krumbhorn (Cromorno). Lo strumento non era in condizioni perfette in occasione di queste registrazioni; si può infatti notare un effetto lievemente “asmatico”, specialmente quando vengono inseriti molti registri; tuttavia in un organo storico tale difetto è certamente tollerabile se non proprio caratteristico. È interessante sapere che lo strumento è stato oggetto di un profondo restauro qualche anno dopo, di conseguenza le caratteristiche foniche sono cambiate e le presenti incisioni (BWV 538, 582, 768) raccontano una voce che non c’è più.

Non esiste di Richter un’esecuzione integrale del Bach organistico, di conseguenza questi dischi sono vere e proprie perle rimaste tra gli scaffali degli archivi Deutsche Grammophon per molti lunghi anni. Scomparso a soli 54 anni, probabilmente Richter avrebbe continuato il lavoro di incisione del Bach organistico che aveva ripreso nel 1978 a Freiberg incidendo quella Passacaglia che, insieme con la Matthäus-Passion del 1979, rappresenta in qualche modo il suo testamento artistico, ciò che resta dell’interpretazione non strettamente filologica al tempo in cui gli artisti potevano permettersi una seppur minima libertà in questo senso, senza rischiare d’essere trattati come eretici.

L’immagine che segue è tratta dal libretto contenuto nel cofanetto e riporta puntualmente gli LP originali che contenevano queste registrazioni:

Incisioni originali Deutsche Grammophon e Archiv Produktion con Karl Richter all'organo

Ecco due autorevoli commenti su queste registrazioni, tratti sempre dal libretto:

«Some of the most exciting organ playing ever recorded» [Jægersborg recordings]
International Classical Record Collector, 1999

«One of Karl Richter’s very finest records and given a superlative recording, which is quite in a class of its own. Even a sustained pedal note (which usually causes a feeling of strain) is handled by the engineers with aplomb, and the sound remains clear in the spectacular cadences. The organ is a new one at Jægersborg, near Copenhagen. The builders have attempted to simulate the principals and action of a baroque instrument, and the result is highly effective. Richter’s registration is perceptive in its choice of the right timbres for each piece (notably so in the Trio Sonata), and his control of the fugues is no less impressive. This is one of the finest available accounts of the famous Toccata and Fugue in D minor»
Penguin Guide, 1975

Senza dubbio si tratta di un box raccomandabile, anche a chi non ha nessun’altra esecuzione di questi cavolavori di Bach. La qualità tecnica delle registrazioni è alta: rumore di fondo trascurabile, ottima stereofonia, dinamica e alta fedeltà per le frequenze tra 25 e 20.000 Hz, solo le note più basse dell’Untersatz 32′ (solo Silbermann di Freiberg) hanno la fondamentale un po’ attenuata, ma fortunatamente non tagliata; comunque solo pochi altoparlanti sono capaci di riprodurre frequenze tanto basse. Il libretto allegato specifica che è stata effettuata una rimasterizzazione con campionamento a 96 kHz e 24 bit a partire dai nastri originali, il che ha portato evidentemente a ottimi risultati:

Forma d'onda del terzo CD Spettrogramma del terzo CD
Forma d’onda e spettrogramma del terzo CD (cliccare per ingrandire)

Disposizioni foniche degli organi utilizzati

Organo Marcussen & Søn (Copenaghen)
Marcussen & Søn (Copenaghen)
Organo Gottfried Silbermann (Freiberg)
Gottfried Silbermann (Freiberg)

Copertina posteriore Copertina posteriore

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I «Quadri di una esposizione» di Mussorgsky e altre composizioni

26 Maggio 2006 3 commenti
Copertina del CD: "Mussorgsky: Quadri di un'esposizione / Karajan"

Questo CD si è aggiunto recentemente alla mia collezione; riporto qui qualche impressione e alcune note di carattere tecnico. Anticipo comunque che è un buon disco e lo consiglio anche perché a medio prezzo.

Titolo: Debussy: La Mer · Mussorgsky: Quadri di una esposizione · Ravel: Bolero
Orchestra: Berliner Philharmoniker
Direttore: Herbert von Karajan
Casa discografica: Deutsche Grammophon
Serie: The Originals
Anno: 1966 (Mussorgsky, Ravel), 1965 (Debussy)
Durata: 74’54

Modest Mussorgsky: Quadri di una esposizione (orch.: Maurice Ravel)

I tempi dell’esecuzione sono gradevoli, non troppo rapidi ma nemmeno lenti, sicuramente più veloci rispetto all’interpretazione di Sergiu Celibidache (EMI 5 56526 2, 1997), per avere un termine di paragone. "La grande porta di Kiev" è veramente maestosa, uno dei pregi di questa incisione. Può non piacere la pausa presente tra "La capanna di Baba-Yaga" e "La grande porta di Kiev", la quale effettivamente manca in altre esecuzioni (per esempio quella diretta da Celibidache, appena citata), questione di gusti.

Maria Luisa Merlo fa una chiara e concisa descrizione dello sviluppo dell’opera, che risulta interessante per seguirne l’ascolto. La riporto qui tra virgolette:

«Nel 1874 fu allestita a Mosca una mostra di olii e di acquarelli del famoso architetto russo Victor Hartmann, intimo amico di Musorgskij, morto l’anno precedente. Il musicista fu colpito dalla straordinaria forza espressiva di quei dipinti e decise di tradurli in musica. L’opera, scritta in origine per pianoforte, rappresenta una delle composizioni più interessanti che siano mai state scritte per questo strumento. Nel 1929, un altro grande compositore, Maurice Ravel, rimase abbagliato dalla bellezza della musica di Musorgskij e decise di orchestrarla. il risultato fu sorprendente, perché non ci troviamo di fronte a una mera trasposizione dalla tastiera all’orchestra, bensì a un accuratissimo lavoro di reinterpretazione timbrica dei ‘caratteri’, delle immagini descritte dal musicista russo. I quadri sono dieci, intercalati da un tema, la passeggiata (Promenade), che accompagna il visitatore lungo le sale della immaginaria pinacoteca. Questo tema però non si presenta sempre uguale, ma subisce delle variazioni a seconda del quadro che precede. Il primo quadro, Gnomus, descrive un nano zoppo e malvagio che si aggira nella foresta. Con il secondo brano ci trasferiamo in Italia: in un paesaggio illuminato da chiarori lunari, un menestrello canta una canzone venata di malinconia. Lo strumento scelto da Ravel per intonare questo canto lamentoso è il saxofono contralto, che possiede una voce calda e vibrante assai simile a quella umana. Tuileries è il parco parigino dove si svolge la terza scena: i bambini giocano allegri sotto lo sguardo vigile delle governanti che però chiacchierano tra loro. Il ritmo è serrato ma discontinuo, intessuto di un dialogo divertito fra gli strumenti dell’orchestra. Bydlo è un pesantissimo carro agricolo che si muove faticosamente, trainato da buoi: la tuba conferisce a questa scena incredibile realismo. Il Balletto dei pulcini (quinta scena) è uno schizzo delizioso, tutto trilli e gorgheggi di flauti, oboi e clarinetto, sopra un grandioso pizzicato degli archi. Samuel Goldenberg e Schmuyle sono i protagonisti della sesta scena. Due ebrei, uno grande grosso e ricco, l’altro piccolo magrolino e querulo si incontrano. La tracotanza del primo, il cui tema viene eseguito dall’intera orchestra, si scontra con la voce petulante e fastidiosa del secondo, che è affidata alla cornetta. La città di Limoges (settima scena), viene ricordata in un giorno di mercato, colorita e vivace. L’ottavo pezzo della raccolta si riferisce a un quadro raffigurante lo stesso Hartmann mentre esplora le catacombe di Parigi alla luce di una lanterna: Ravel sceglie per questo pezzo le sonorità possenti dei fiati che dilatano la melodia. Suoni lunghi, tenuti, si alternano a intensità opposte, dal fortissimo al pianissimo, come se la luce della lanterna illuminasse di colpo i diversi punti delle gallerie sotterranee. Musorgskij in persona ci suggerisce l’interpretazione del brano successivo, ‘Cum mortuis in lingua mortua’ (parlando con i morti in lingua morta): «Lo spirito creatore di Hartmann mi conduce vicino ai teschi delle catacombe». Tutto si svolge pianissimo; gli archi eseguono la loro parte con un tremolo trepidante e ci fanno percepire quasi fisicamente l’atmosfera di intensa e grande commozione. La ‘Capanna di Baba-Yaga sulle zampe di gallina’ evoca un mostro presente nelle leggende russe, una strega malvagia che abita in un orribile antro, visitato con grande spavento dal musicista: la musica è violenta e inarrestabile sino all’estrema corsa che sfocia ne ‘La grande porta di Kiev’, epilogo trionfale, vera e propria apoteosi di grande e sfavillante possanza creativa. La grandiosità di questo pezzo è difficilmente descrivibile, tutto vibra di potenza e di emozione e l’orchestra raggiunge vette di maestosità che di rado si incontrano.»

NOTA: Il testo citato tra virgolette è opera di Maria Luisa Merlo.

Maurice Ravel: Boléro

Dura circa 16 minuti, quindi la velocità di esecuzione è normale. Il suono di ogni strumento è ben definito e si possono distinguere chiaramente le diverse voci anche quando vi sono molti strumenti a suonare insieme. Peccato che nel finale non siano presenti i piatti e il gong; è una caratteristica delle interpretazioni di Karajan e può rappresentare forse l’unico neo di questa incisione storica; ancora una volta è questione di gusti.

Claude Debussy: La mer

Si tratta di una discreta esecuzione; risulta un po’ confusa in alcuni passaggi, come ad esempio nelle ultime battute della prima e della terza parte, precipitose, in cui non sempre si riesce a seguire ogni voce col suo percorso unico e particolareggiato; questo difetto limita le sensazioni che si possono provare all’ascolto: si rimane troppo in sospeso. Nella più recente registrazione digitale (439 008-2, serie Karajan Gold) non c’è questo problema, anzi si può dire che quella sia una delle esecuzioni più "nitide". Tornando alla presente incisione, anche in questo caso tra le percussioni non è presente il gong, come già notato nel Boléro.

Considerazioni puramente tecniche

Tutte le registrazioni presenti sono stereofoniche. Poiché risalgono agli anni 60 (Debussy: 1965; Mussorgsky e Ravel: 1966) è presente un po’ di rumore di fondo avvertibile nei passaggi in cui il suono è più debole (per esempio nelle traccie 6, 7, 19), ma che comunque non compromette l’esperienza di ascolto. La resta stereofonica è ottima, come pure la fedeltà del suono, solo gli acuti mancano un po’ di brillantezza. La dinamica delle registrazioni non ha nulla da invidiare a quella delle moderne registrazioni digitali.
Una nota particolare sul Boléro: tra 1’31" e 1’33" si nota una lieve riduzione nella velocità di riproduzione, che poi torna gradualmente quella corretta; probabilmente ciò è dovuto a un danno (allungamento) nel nastro originale contenente la registrazione ovvero a una meno probabile anomalia di lettura avvenuta durante la digitalizzazione.

Copertina posteriore